La formazione linguistica e l’esercizio del diritto alla non-discriminazione

Per il minore immigrato, come per il migrante adulto, la formazione linguistica assume un ruolo di grande rilevanza. Infatti le minori competenze in lingua italiana rispetto ai coetanei madrelingua, rischiano di farlo trovare in una posizione di svantaggio che, se non risolta, si ripercuoterà anche al di fuori del contesto scolastico. Deve essere pertanto un obiettivo comune di enti e istituzioni quello di garantire al minore immigrato gli strumenti che possano porlo sullo stesso piano dei coetanei italiani. Questo rappresenta uno dei diritti esplicitamente segnalati nella Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza(1989). Con specifico riferimento alla condizione dei minori immigrati in Italia, è evidente che un elemento indispensabile per garantire pari opportunità di educazione è rappresentato dagli interventi di formazione linguistica centrati sulle loro esigenze. Un valido sostegno dello sviluppo delle competenze linguistico-comunicative dei minori immigrati per un periodo di tempo che vada oltre la fase di immediata accoglienza, rappresenta una misura fondamentale per garantire il pieno diritto ad una educazione non-discriminatoria. Occorre tener presente il profilo degli alunni immigrati:

  • Gli alunni stranieri differiscono per paese di provenienza della famiglia e di nascita e quindi per cultura e lingua madre.

  • Buona parte degli alunni stranieri è attualmente costituito da bambini e ragazzi nati in Italia, per cui spesso sviluppano competenza bilingue, e altri hanno competenze plurilingue che comprende oltre all’italiano, anche le lingue di colonizzazione.

  • Diversi livelli di competenza della lingua italiana è posseduta anche dagli alunni figli di matrimoni misti: in questo caso sono le abitudini linguistiche della famiglia ad influire sul grado di padronanza di bilinguismo.

  • Il livello di italiano L2 dei minori nati all’estero dipende dalla durata delle loro permanenza in Italia. Chi si trasferisce nella prima infanzia inizia precocemente ad utilizzare l’italiano nella comunicazione extrafamiliare. Gli alunni già scolarizzati nel paese di provenienza che vengono inseriti nella scuola italiana, incontrano maggiori difficoltà perché oltre a dover sviluppare un grado di padronanza linguistica per la vita quotidiana, devono sviluppare anche le competenze per affrontare lo studio delle discipline in lingua italiana.

  • La distanza tipologica tra la L1 e l’Italiano incide sulla rapidità di apprendimento e sull’impiego dell’Italiano nella vita extrascolastica.

  • I bambini nomadi o Rom sono sottoposti ad uno sforzo cognitivo dovendo apprendere e cogliere categorizzazioni della realtà secondo modalità diverse da quelle impiegate da una cultura orale come quella di appartenenza. A queste difficoltà si aggiungono le incomprensioni della scuola, che in molti casi non dispone di competenze che possano proporre soluzioni metodologiche adatte e la convinzione della società rom che le nuove generazioni non debbano essere educate fuori del gruppo etnico.

Solo tenendo conto dei diversi profili di alunni stranieri presenti nella scuola italiana, e delle molteplici sfaccettature che li caratterizzano, si possono adottare soluzioni metodologiche ed effettuare scelte operative in grado di sostenere efficacemente il percorso di integrazione dei giovani migranti.

(Troncarelli – La Grassa su”Italiano a stranieri” – rivista quadrimestrale n. 17 2014 Edilingua – Roma)

A cura di Gabriella Di Cioccio

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